1. La questione italiana e il patriottismo
Se prendiamo in considerazione una cartina politica della nazione italiana e
la confrontiamo con la cartina politica della penisola italiana sul nascere del
sedicesimo secolo, possiamo osservare un ampio spettro di colori utilizzati per
distinguere oggi una regione dall’altra e ieri quello che era uno Stato, un ducato,
una repubblica a sé stante.
Nonostante questa frammentazione che caratterizza la situazione politica
dello Stivale dall’Alto Medioevo, in molti hanno sognato un’Italia unita sotto
un’unica bandiera ed un’unica guida: non solo uomini di lettere (Dante), ma anche
uomini d’armi (Cesare Borgia prima, Napoleone poi), che con le loro parole ed
azioni hanno tentato di influenzare e guidare l’opinione pubblica verso l’idea di
una collettività, di una società che superasse i confini interni creati dall’uomo.
Eppure, riecheggiano ancora oggi -nel 2011 abbiamo festeggiato il 150°
anniversario dell’Unità d’Italia - le parole attribuite al patriota Massimo d’Azeglio
che si dice abbia esclamato “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”.
Sociolinguisticamente si può affermare che questa è una frase che si sente spesso
ancora oggi, soprattutto quando l’opinione pubblica vuole sottolineare quanto
egoistica sia stata l’azione del singolo davanti alla comunità. Lo stesso Leopardi
notava come in Inghilterra e in Francia fra tutti i cittadini si percepisse la
sensazione di fare parte di un aggregato -la nazione- che come struttura ricorda
proprio quello di una famiglia, una società più stretta e aggiungeva che tale
percezione in Italia non esisteva: “gli italiani non sono cittadini, ma individui,
ognuno dei quali conta per sé”.
Ritornando alla storia d’Italia, la solidità della dominazione austrica nel nord
della penisola nel diciannovesimo secolo comincia ad essere minata dall’insorgere
di un nuovo tipo di pensiero nelle menti dell’intelligencija: bisogna liberare il
suolo italiano dall’invasore, bisogna riconoscersi in un vessillo -il tricolore-, in un
nome che definisca la nazione e un aggettivo denominale che definisca il suo
popolo: il Piemonte può guidare e Roma può inspirare, con le glorie passate di cui
è stata capace. Dire che con tre guerre d’indipendenza, la spedizione dei Mille e la
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breccia di Porta Pia sia nata la Nazione è estremamente riduttivo: i dissidi su come
realizzare tutto ciò ci sono stati e, per molti, continuano ad esserci: “lotte e passioni
risorgimentali” hanno accompagnato le diatribe tra le varie fazioni di chi si è
impegnato a creare l’Italia secondo il proprio desiderio: membri di società segrete -
autori dei primi moti insurrezionali tra il 1820 e il 1848-, neoguelfi, federalisti,
monarchici, mazziniani e repubblicani, tutti avevano in mente lo stesso obiettivo,
ma differenti modi attraverso cui realizzarlo. Ciò che allora e ancora oggi ostacola
la percezione interna di uno Stato unito sono le differenze culturali e sociali che gli
stessi abitanti da nord a sud -isole comprese- percepiscono e che giungono ad
essere motivo di manifesto campanilismo.
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